"E se vi siete detti
Non sta succedendo niente
Le fabbriche riapriranno
Arresteranno qualche studente
Convinti che fosse un gioco
A cui avremmo giocato poco
Provate pure a credevi assolti
Siete lo stesso coinvolti"
Non sta succedendo niente
Le fabbriche riapriranno
Arresteranno qualche studente
Convinti che fosse un gioco
A cui avremmo giocato poco
Provate pure a credevi assolti
Siete lo stesso coinvolti"
Oggi sono vent'anni dalla scomparsa di Fabrizio De André. Molti, giustamente, lo hanno ricordato. La radio che ascolto quotidianamente ha passato un sacco di brani e ha lasciato spazio a coloro che volessero dire qualcosa.Generazioni di italiani sono cresciuti con i testi di Faber.
Nata nel marzo 1970, io gli anni '70 li ho vissuti con gli occhi di bambina, in una famiglia di quella che allora era la classe media. Papà impiegato all'Enel e mamma commessa in una gioielleria. Tutto quel fermento politico e civile di cui ho saputo due decenni dopo non ho vissuto nulla. Protetta dalla periferia della seconda cintura di Torino e da una famiglia che, nata in povertà, cercava di darmi tutto quello che a loro era mancato.
Poi sono arrivati gli anni '80, quando a noi adolescenti pareva che il mondo si dispiegasse ai nostri piedi. Milioni di possibilità. Nessun limite immaginavamo alla crescita personale: gli studi, le pari opportunità, un lavoro appagante e/o una famiglia e una casa.
Papà mi regalò una chitarra classica e un canzoniere.
Mi ci consumai i polpastrelli, senza maestri. Giusto quelle pagine con i puntini sulle sei righe per capire come fare gli accordi. Massacrai le orecchie dei miei e di mio fratello con "Il cielo in una stanza" perché era in giro di do e da qualche parte toccava cominciare.
Con tutto il rispetto, Gino Paoli non mi era mai piaciuto. Ma non riuscivo a suonare altro. Poi arrivarono anche gli altri accordi. Faticosi e dolorosi ma finalmente Guccini, De André, Bennato. Erano solo canzonette.
Mi innamorai di "Giugno '73". Ero adolescente. Cupa, triste e malinconica senza apparenti ragioni.
De André, il vero Faber, l'ho scoperto, davvero, molti anni dopo. Se l'ho davvero capito non so dirlo ma quando sento "Canzone del maggio" o "Il testamento di Tito" è come se le sentissi sempre per la prima volta. La stessa emozione. Lo stesso coinvolgimento.
Era un poeta. Raccontava gli ultimi e i dannati. Raccontava il dolore, la rabbia. Raccontava quello che avrei voluto dire io, ma molto meglio.
Io, un ringraziamento glielo devo.
Foto presa dal web. Vorrei citare l'autore ma non c'era scritto. |
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