mercoledì 13 maggio 2020

Sarà una mia scelta

Ci ho creduto per un paio di settimane.
Ho pensato (davvero) che costretti in casa avremmo cercato di informarci, di studiare e di essere migliori di prima, quando la vita ci masticava via e ci lasciava a malapena il tempo di esistere.
Ho creduto (davvero) che questa pausa forzata potesse essere un'opportunità.

Non che ci dovesse piacere.
A me non piace il distanziamento fisico. 
Io vivo di abbracci.

Tuttavia, mi sono detta: "Vedrai! Rifletteremo, capiremo, cresceremo, saremo più consapevoli. Non solo di quello che ha realmente importanza (che già sarebbe un'evoluzione) ma anche dei problemi degli altri, dell'ambiente, della collettività, dell'onestà, della tolleranza".

Ci ho creduto davvero per un paio di settimane.
E se mi sono sbagliata n volte nella vita, questa fa n+1.
Anche se l'unità dell'addendo è sottodimensionata rispetto a ciò che percepisco.

Non siamo diventati persone migliori.
Anzi, ci siamo abbruttiti. 
Non era facile, devo ammetterlo. 
Ma ci siamo riusciti.

Non ho scritto in queste settimane. Quasi nulla.
Non che non avessi cose da dire ma mi sono sembrate tutte superflue.

Per attitudine, tendo ad ascoltare tutti. Quando sono d'accordo lo paleso. Quando non lo sono, dico ciò che penso cercando di argomentare le mie opinioni nel migliore dei modi (stanti tutti i miei limiti). E se mi accorgo di essere in difficoltà, ragiono. Perché può darsi che sbagli, visto che i miei genitori non mi hanno dotato della verità con la evve maiuscola (come direbbe un mio prof delle superiori).
Chissà perché, ho sempre immaginato che tutti facessero lo stesso.

Quando è cominciato il delirio pandemia mi sono chiusa in casa.
Il mio lavoro era precario, dunque, è stato interrotto.
Per fortuna, vivo in campagna e ho una mezza mela con un lavoro stabile, cosa che ci ha permesso di affrontare il periodo con una certa serenità. E' un privilegio. Quindi, mi sono dedicata all'orto, alle cose di casa, ad aiutare i miei figli con la didattica a distanza e ad altri interessi personali. Non nascondo che ho avuto, ed ho tutt'ora, difficoltà a vivere senza avere un sostentamento che derivi dal mio lavoro. Perché questa è sempre stata la base di ogni possibile "ricatto" ad ogni livello.

Insomma, non che mi piaccia.
Ho creduto nel senso di responsabilità, ecco.
Vivendo piuttosto isolata avrei potuto andare a spasso un po' dove volevo. Non l'ho fatto per non dare un cattivo esempio ai miei figli, che si sono dimostrati molto più responsabili di tanti adulti che conosco. A dire la verità, la gran parte di adolescenti si è dimostrata più responsabile di tanti adulti che conosco.

Io odio la mascherina.
La odio perché mi si appannano gli occhiali, perché non mi fa vedere il sorriso delle persone che mi circondano, perché mi tiene a distanza dagli affetti, perché è il simbolo tangibile di quel distanziamento fisico che a me pesa tanto. Mi soffoca. A livello psicologico molto di più che a livello fisico.
Eppure la indosso quando vado a fare la spesa o quando sono in luoghi dove altri potrebbero sentirsi "minacciati" dal mio respirare senza di essa. 
Lo faccio per rispetto degli altri.
Non è l'unica cosa che faccio per rispetto degli altri.
E non mi chiedo se gli altri sono giovani, vecchi, donne, uomini, cristiani, musulmani, italiani, stranieri, ricchi o poveri.

Ci ho creduto, per un paio di settimane, che avremmo imparato a rispettare gli altri in quanto esseri umani. Perché bisogna fare chilometri nelle scarpe di altri prima di poter dare un giudizio su come questi camminino.
E mi sono sbagliata.

Ma voglio trovare, in tutto questo, un lato positivo.
Verba volant, scripta manent.
E io, quello che è stato detto e soprattutto scritto, non lo dimentico.
Domani, quando tutto questo sarà solo un ricordo e torneremo a vedere le nostre facce, sarà una mia scelta acquistare quello di cui ho bisogno da chi ha dimostrato umanità e solidarietà. Sarà una mia scelta il ristorante in cui sedermi o il professionista a cui rivolgermi, esattamente come è sempre stata una mia scelta votare la persona che mi rappresenta, sedermi al tavolo con persone cui voglio bene e progettare il futuro con persone che mi somigliano.

Non siamo così unici e indispensabili da permetterci di sputare odio su chiunque e passare inosservati.
Ricordiamocelo, ogni tanto.