mercoledì 30 aprile 2014

L'unica cosa da celebrare era la Resistenza

Ho appena finito di leggere "Zita" di Enrico Deaglio. E' un bel libro e scorre, anche se a tratti si perde in descrizioni che non incontrano il mio gusto. Ma non è per darne un giudizio complesso che ne scrivo. Vorrei copiarvene un estratto. Credo le più belle due pagine di tutto il romanzo (per lo meno quelle che ho amato di più). E' un po' lungo da leggere ma ne vale la pena.

[da Zita di Deaglio]
Quando era particolarmente caustica, la signora Giovanna si esibiva, davanti a loro che di anni al tempo ne avevano solo quattordici, in un succinto rendiconto del centenario dell'Unità d'Italia.
Dunque, dunque: i Savoia decidono di prendersi il sud, finanziano Garibaldi ma senza dirlo, e poi se lo fanno spremuto e lo buttano. Anzi gli sparano perfino in una gamba. Fine di Garibaldi, che era l'unico veramente eccezionale della storia italiana. Quindi i Savoia fanno finta di dare una regolata al Vaticano, ma subito dopo si accordano per spartirsi la torta. Passano i primi cinquant'anni: e siamo così poveri, dal Sud al Nord, che almeno venti milioni di nuovi italiani se ne vanno. Hanno talmente poca fiducia nel governo, nella Chiesa, nei borghesi; sono talmente disperati che raccolgono quattro stracci, prendono la nave e vanno nelle Americhe. Loro se la cavano e, siccome sono buoni figli, ci mandano anche i soldi e ci permettono di andare avanti».
A questo punto la signora Giovanna faceva una pausa: «E così finisce il secolo, i nostri primi quarant'anni. Ma aspettate, che adesso arriva il bello! Arriva la Prima guerra mondiale, e facciamo i furbi. Prima stiamo con gli uni e dopo con gli altri; alla fine ci ritroviamo con i francesi e gli inglesi, con dei generali fetenti che mandano a morire schiere di siciliani, calabresi, veneti, abruzzesi, analfabeti, che non capiscono neppure gli ordini e figurati di quanto gli può importare di Trento e Trieste. I generali li mettono in fila e li fanno fucilare. Per Trieste, poi! Per le smanie di quel degenerato di Gabriele D'Annunzio! Trieste era una città cosmopolita su cui gli italiani non avevano proprio diritti da avanzare. E ci facciamo altri vent'anni, e siamo già altre la metà del percorso.
Dopo arriva il mascellone Mussolini e fa l'Impero! Ah, quanto piaceva alla gente! Le divise, le feluche, le mignotte ministeriali, l'oro alla patria, i destini in Etiopia, il capo caseggiato, Hitler il nostro migliore alleato, l'olio di ricino.
Avevamo la monarchia, forse la peggiore casa reale di tutta Europa. Nel 1922 si lasciano volentieri spaventare e i fascisti si prendono il potere senza neanche che un carabiniere gli spari un colpo. Ah, i Savoia! I galantuomini! Il nonno emancipa gli ebrei, il nipote firma le leggi razziali. Che famiglia coerente! E se ne vanno altri vent'anni...
Il famoso centenario è tutto qua. L'unica cosa da celebrare era la Resistenza, l'unica, l'unica... Ma l'hanno già dimenticata... La sinistra? A Roma, nel '45, per scherzo ma non tanto, si diceva: "Le fabbriche agli operai, la terra ai Carandini", perché la famiglia Carandini, grandi principi e grandi latifondisti, erano diventati amici del Partito comunista, e quindi nessuno gli espropriava le terre».
E infine concludeva: «Non c'è da farsi illusioni, i fascisti son sempre pronti a uscire dalle fogne. A proposito, sapete come vanno in giro adesso i fascisti? Con il maggiolino Volkswagen nero decapottabile, è la loro divisa. Se vedi uno con la barbetta al mento e la Volkswagen nera decapottabile, non ti puoi sbagliare».

sabato 12 aprile 2014

Non abbiamo imparato un cazzo... e scusate il francesismo.

Tra due settimane è il 25 aprile. Torneremo in piazza a ricordare la Liberazione dal nazifascismo con i fiori e le corone e il minuto di silenzio ma diciamoci la verità non abbiamo imparato un cazzo.

L'italiano medio non ha neppure idea di cosa sia il fascismo, di cosa sia stato e di quali efferatezze si sia reso protagonista. Prima, dopo, durante il Ventennio e ancora oggi. 
L'italiano medio non sa perché ci sono quattro deficienti che il 25 aprile si ostinino a ricordare e non gli importa. Gli importa solo che sia festivo e che magari si può fare il ponte e andare al mare o anche stare a casa, in fondo c'è crisi, senza dover sopportare colleghi, clienti o persone a cui rendere conto. Una bella grigliata che a Pasquetta era brutto.

Poi ci sono quelli che invece la Resistenza.
Quelli che la Resistenza è importante però i migranti vengon qui a rubarci il lavoro e noi li accogliamo e gli troviamo persino un posto non pulcioso dove dormire a 'sti morti di fame.
Quelli che la Resistenza è importante e poi quei quattro professionisti del disordine bisognerebbe buttarli sotto chiave che quel che han da dire a noi non interessa e sono choosy e non hanno più voglia di fare i lavori umili.
Quelli che la Resistenza è importante ma il Tav porta lavoro e simpatia e amore per tutti e i valsusini vanno spianati perché son quattro montagnini ignoranti che si oppongono al progresso e vogliono che stiamo fuori dall'Europa e se fosse per loro mangeremmo ancora i licheni.
Quelli che la Resistenza è importante ma l'Europa è tiranna e ha ragione il Veneto che vuole la secessione e chi fa i tank coi trattori nelle cantine sono degli eroi.
Quelli che la Resistenza è importante ma i ragazzi della Diaz se la sono cercata perché dovevano stare a casa che non è vero che un altro mondo è possibile e tanto meno che esiste un diverso modello di sviluppo.
Quelli che la Resistenza è importante ma mio figlio in una classe con due romeni e tre maghrebini non lo lascio perché vedi mai che prendano le malattie d'altra parte non sai mai.
Quelli che la Resistenza è importante ma io a casa non faccio niente perché c'è mia moglie che fa la serva e cresce i figli e pure lavora e io sto da papa.
Quelli che la Resistenza è importante ma la differenziata che palle non sarà mica il mio vasetto di plastica buttato nella carta a rovinare il mondo.
Quelli che la Resistenza...

... Ho tanta rabbia oggi in corpo. Perché lottare contro il fascismo è già difficile ma lottare con chi, in teoria, dovrebbe essere amico è sfinente.

Tra due settimane è il 25 aprile. Ricordiamo. Ma anche pensiamo.

Vauro

domenica 6 aprile 2014

Da qualche parte arriveremo /4

Per i capitoli precedenti, cliccare qui.


- 6 -
Cambiamento

Terza superiore. Ora di matematica. Fuori è primavera. Siamo tutti distratti dal tepore, dagli alberi che mettono le foglie e i primi boccioli, dai raggi del sole che danno al cortile una luce diversa. Le trigonometriche non hanno speranza.
La bidella entra in classe e mi dice che la preside vuole vedermi. Non è mai successo. Sono nella grande massa degli invisibili, io. Quelli che non danno problemi ma che neppure eccellono. Sono abituata a fare quello che devo affinché le persone s'accorgano di me il meno possibile.

La presidenza è una stanza spoglia. Una scrivania e una pianta in vaso e poco altro.
"Ida, mi dispiace, tua madre ha avuto un incidente".
Non sa nulla la preside, se non dove è stata ricoverata la mamma. Sembra veramente addolorata. 
Esco da scuola e raggiungo in autobus il gigantesco casermone con i muri interni verde vomito.
Devo insistere un po' perchè mi facciano vedere la mamma.
L'hanno sistemata in una stanza singola. Ha la clavicola destra rotta, la faccia piena di lividi, la milza spappolata e l'avambraccio sinistro fasciato.
"Sono caduta dalle scale".
Certo.
Non riesce a trattenere una lacrima.
La bacio ed esco.

Ho cercato l'indirizzo mille volte. Faccio un'ora di mezzi per arrivare in città. Al centro anti-violenza mi ascoltano. Non riesco a piangere ma loro dicono che non ha importanza. Mi ascoltano per tutto il pomeriggio. Vogliono che la mamma vada a fare la denuncia. Ma io so che non succederà mai.
Quando torno in ospedale c'è un mazzo di rose rosse sul comodino. Sono di papà. Sembrano una minaccia.
Dobbiamo andare via.
"Hai ragione Ida, quando esco andiamo da qualche parte e ricominciamo. Vai a casa e metti qualcosa in valigia e poi porta la valigia da nonna".
Non le credo ma sbaglio. Il suo vaso si è colmato.


- 7 -
Torino

Torino. San Salvario. Sembra pieno di gente approdata in città perché fuggita da ogni dove.
Non conosciamo nessuno e per una volta mi sento sicura.
Mamma trova presto lavoro in un ristorante. Poi abbiamo qualche soldo da parte che, non so come, mamma è riuscita a nascondere. Abbiamo lasciato tutto a casa, come mi hanno consigliato. Telefonini, agende, appunti, ricordi. Tutto. 
Non abbiamo detto neanche alla nonna dove siamo andate. Lei ha pianto ma ha capito. Mamma le ha promesso che prima o poi sarebbe stato diverso.

Così, in qualche modo, ho preso il diploma e trovato lavoro in un negozio.
Enrico viene spesso a casa nostra e mangia con noi. Alla mamma piace. Educato e gentile, ci porta sempre un piccolo regalo per la nostra piccolissima casa, che ha preso la nostra forma e profuma e non è ostile.
Torino ci ha accolto. Bella, algida e incurante.
Forse mamma l'ha scelta proprio per quella sua austerità.
A me piace perché è quadrata e senza sorprese. Tutto è esattamente lì, dove te lo aspetti.
Una meravigliosa certezza.



venerdì 4 aprile 2014

Da qualche parte arriveremo /3

Per i capitoli precedenti cliccare qui: -1- // -2- e -3-

- 4 - 
La puzza

L'ospedale puzzava di vecchio e di stantio, come il nostro vicino di casa che non usciva mai dalle sue quattro mura. Quella puzza insopportabile mi spaventava più dei dottori, più del dolore, più di quel verde orrendo che si trova solo negli ospedali.
Il dolore non fa male.
Lo diceva sempre la mamma.
Mi mettono un gesso azzurro al braccio. Sorridono tutti. Mi dicono di fare più attenzione. Mi dicono che se vorrò far firmare il gesso da tutti, quando me lo toglieranno potrò tenerlo per ricordo.
Ma io non so se voglio ricordare.
Eppure ricordo. Ricordo. Soprattutto di notte, quando dormo e dovrei sognare sogni d'oro come diceva sempre la mamma.
Ricordo i tonfi soffocati e le lacrime. Ricordo la mamma con gli occhi bassi.
Sogno la paura che è tanto grande da prendere forma umana.
Mamma parla con il dottore. E' giovane e bello. Con lei non sorride. Poi mamma torna e mi abbraccia
"Ida, amore mio, papà non l'ha fatto apposta"
E, forse, ci crede davvero.


- 5 -
Enrico

Ho conosciuto Enrico una sera che grandinava. Me ne stavo lì, in mezzo alla strada e lui si è preoccupato per me. Mi è venuto vicino con un ombrello.
"Se non si ripara finirà per farsi male"
Il dolore non fa male.
Comunque, il suo sorriso era simpatico e l'ho seguito fin sotto un balcone.
Così ci siamo presentati e siamo andati in un bar a prendere un caffè aspettando che smettesse di grandinare.
Beveva il caffè amaro. Mi è sembrato un buon segno.
Così potevo non ricordare quanti cucchiaini mettere quando glielo portavo. Che non fosse troppo dolce o troppo amaro.
Ho chiuso gli occhi mentre lo beveva. Aspettavo le grida. Stupida. Incapace.
"Stai bene?"
E' buono il caffè?
"Ne ho bevuti di migliori ma non è male"
Mi ha sorriso. Non c'era traccia d'odio nei suoi occhi. Parlavano una lingua che io non capivo.


giovedì 3 aprile 2014

Da qualche parte arriveremo /2

- 2 -
La pace

Ho fatto pace con la mia paura di morire. Non so come sia successo. Non ho lavorato particolarmente su me stessa. Tuttavia, non so come, la mia fobia è rientrata nei ranghi di una paura normale. Come quella dei ragni. Una paura controllabile, razionalizzabile. Per lo meno per me.
Fin da ragazzina non ho mai potuto immaginare la morte. Un posto dove non c'è luce, non c'è musica, rumore, odori, sensazioni. Ansia. Il cuore che batte forte, incontollato. Il pensiero che non esce dal vortice come attratto da un buco nero, risucchiato dal terrore. Solo con grande difficoltà riuscivo poi a controllare il respiro, a cambiare pensiero, a uscire dal gorgo del nulla. Mi succedeva anche di notte. La paura della morte mi aggrediva e io mi svegliavo di colpo.
A volte sognavo di morire.
Una volta sono morta nel sogno e non mi sono svegliata, come sarebbe naturale. C'era il nulla. 
Troppo vuoto per una vita.
Solo il contatto con un altro corpo addormentato, un abbraccio rubato al sonno di un amore, riusciva a curarmi, per riportarmi alla vita di sempre e, solo talvolta, al sonno di cui ero stata privata. Spesso mi sono chiesta se è possibile morire per la paura di morire.


- 3 -
Il passato presente

Esco dalla stanza e irrompo in cucina con il velo da sposa che mi copre il viso adolescente. Troppi anni fa.
"Mamma guarda! Sono una bella sposa?".
Mamma impallidisce come se una mano invisibile le contorcesse lo stomaco. Si appoggia appena alla sedia. 
"Sei bellissima amore".
La sua voce esce a fatica ma a me sembra normale. Questo, ricordo.
Ho preso il vestito nelle scatole che ha appena portato la nonna. C'è tutto il vestito. É bianco, con una macchia di grasso sul fianco. Ne chiedo ragione.
"E' rimasto pizzicato nella portiera dell'auto".
La macchia di grasso c'è anche nelle foto archiviate col vestito da sposa nei polverosi scatoloni. Ospite invadente e sgradito nei pochi scatti di una vecchia Polaroid. 
Mi sento grande. Mamma vorrebbe lasciare quel vestito nel passato ma io insisto. Mi accorgo che non le va, forse, ma la ignoro. A mamma non vanno un sacco di cose. Mica posso sempre darle retta.
"Facciamo un gioco" mi dice.
Va bene.
Prendiamo il vestito di tulle e pizzo e raso e andiamo in giardino.
Mamma si accende una sigaretta. Prende l'alcol che usiamo per il barbecue.
"Vediamo quanto ci mette a bruciare"
Fico. Mamma non butta mai niente.
Non mi fa accendere. Dice che è pericoloso.
La stoffa brucia in fretta. Restano piccole pezze bianche e puzza di plastica sciolta.


Da qualche parte arriveremo

Guidando mi nascono le idee. Come in nessun altro posto. Così, oggi, ho pensato che mi piacerebbe usare il blog anche per un esperimento. Io ho scritto una cosa. Diciamo un racconto lungo. Ve lo propongo "a rate", di tanto in tanto, sperando che mi aiutiate a capire dove vuole arrivare e cosa vogliono da me i suoi personaggi.
Scrivetemi cosa ne pensate. Sul blog, su Fb, Twitter o in privato, via mail. Scrivetemi quel che vi viene in mente. Mi manca un tassello. Chissà che non lo ritroviate voi e che, insieme, possiamo completare il puzzle.



- 1 -
La fine

Una giornata nuvolosa e grigia in cui non si capisce se di lì a qualche ora si scatenerà il diluvio oppure se salirà il vento di phoen a spazzare via tutto. Ecco. La mia vita era in un momento così quando decisi di mettere fine alla sua vita. 
D'altra parte, era una vita che non meritava niente se non che qualcuno la stroncasse. L'avevo capito da tempo, ma una volta diluviava e un'altra soffiava vento forte. E ci va quiete per ragionare.
Ero lì, in cucina, seduta davanti a una tazza di the, quando presi la decisione. Ti sembra una stanza adatta?

«Non cambierà nulla il fatto che me lo racconti».

Lo so.
Prima o poi pioverà forte oppure salirà il vento. Prima o poi cambierà il tempo e mi piace pensare che qualcuno sappia che non è stato un gesto d'impeto. Sono stata arrabbiata e ho sofferto. Avrei potuto farlo allora. Invece ho atteso la quiete. Ho aspettato di essere certa di ciò che volevo.