venerdì 21 agosto 2015

Una me all'Expo

Sono mesi che non scrivo.
Oggi è un bel giorno per ricominciare.
Ho accompagnato mia madre e i miei figli (come diretta conseguenza) all'Expo di Milano.
Scrivo da qui. Mentre loro, tutti, sono in uno degli enne spazi di animazione bambini.
Come se servisse ancora dell'animazione. Ma tant'è.

Ma cominciamo da capo.
Mia mamma voleva andare all'Expo e portarci i miei figli (prima di morire, dice, come se dovesse accadere domani anche se, per fortuna, così non è) e siccome le voglio molto bene ho deciso, di mia sponte, di accompagnarla.

L'Expo è un carrozzone gigantesco, che parla del cibo come se mezzo mondo non morisse di fame per permettere a noi di ingrassare liberamente. 
Ci sono tanti padiglioni che non bastano giorni per vederli tutti. Se poi ti metti pure a leggere tutto quel che c'è da leggere converrebbe fare uno stagionale.
Bei messaggi: cibo per tutto il pianeta, agricoltura sostenibile, orti urbani, alimentazione corretta, attenzione alle provenienze ecc. Tutto grida vendetta in questo formicaio di persone che si ingozzano, buttano la roba a terra, si lamentano delle code, degli odori, del rumore, della gente. Perchè l'Expo è prima di tutto un bel manifesto pubblicitario per chi ha i soldi e il prossimo anno può decidere se andare in ferie in Argentina, in Kazakistan o in Vietnam.

C'è gente ovunque. Qui la crisi non esiste. È tutto digitale, luccicante, accattivante, colorato.

In un giorno si può vedere, sì e no, un decimo di quello che c'è da vedere. Una limonata costa due euro e cinquanta, un toast con le patatine e una bibita undici euro, un piatto striminzito di qualsiasi cosa tra i tredici e i venticinque euro, una birra piccola quattro euro, una Corona in bottiglia sei euro.
Se ci stai una giornata, in due o tre, cento euro si volatilizzano alla velocità della luce.

Alcuni padiglioni son belli, niente da dire. Luccicanti e ad alta tecnologia come piace tanto alla metà del mondo che ha potuto evolversi. Ma a me sembra di stare a Cinecittà. Ho quest'impressione da quando siamo entrati stamattina. La gente sorride, è felice, come quando va al circo. E io, come al circo, sento che c'è qualcosa di sbagliato in tutto questo. Senza neanche stare a pensare alla devastazione del luogo, alle ragioni etiche e a tutto quello di cui si potrebbe parlare ma di cui non parlo perchè non voglio scrivere un poema.

Qui non c'è pace. Tutto è sempre in movimento. In un padiglione ti mostrano un bimbo che muore di fame e in quello accanto dieci cuochi sudano per ore per assemblare migliaia di pasti in cucine a vista, con il cibo precotto (per forza!) stipato in contenitori di plastica come in una grande catena di montaggio. Ti fanno vedere l'agricoltura sostenibile e poi ti servono ogni sorta di vegetale a chilometro centomila. Ti fanno vedere le bestie ammazzate nelle macellerie a catena e poi giù hamburger, salsicce, bistecche che difficilmente provengono da animali allevati a terra sui verdi pascoli irlandesi.

Signori venghino all'Expo, venghino.
Più gente entra più bestie si vedono.