giovedì 25 aprile 2013

25 aprile e cultura

Il mio discorso per il 25 aprile. Buona festa a tutti.

La 114esima Garibaldi era distaccata alla scuola della Rocca sopra Mocchie, a Condove, sulla strada per Vaccherezza. Da qui, oggi, vogliamo partire per raccontare la Liberazione. Da una scuola, oggi come ieri, in Italia, simbolo di una società in difficoltà, che non vede i suoi giovani come un futuro se non pezzi di un ingranaggio funzionale al potere.
Ottanta anni fa si andava a scuola e si imparava a essere giovani fascisti. Non c'era scelta. Ci si sedeva e si imparava a odiare il negus, a odiare il nemico e a esaltare il grande destino dell'Italia nel fascismo, mentre lo stesso fascismo impediva la libera circolazione delle idee e delle persone, picchiava, torturava, mandava in esilio, mandava allo sbaraglio i figli di un Italia in ginocchio su fronti impossibili da difendere.
La scuola non era cultura ma propaganda. La maggior parte dei bambini cresceva con un pensiero univoco dove ogni dubbio era zittito o punito.
Dopo la Liberazione la scuola è diventata la casa di tutti, dove il figlio dell'operaio poteva avere la stessa istruzione e le stesse possibilità del figlio del notaio. Un concetto rivoluzionario per l'epoca. La Liberazione non aveva regalato all'Italia solo la libertà e la democrazia ma anche la speranza, che il futuro dei nostri figli sarebbe stato migliore.
Quel risultato era il frutto di una profonda presa di coscienza dello scempio che la dittatura stava facendo del Paese e del sacrificio di tanti ragazzi e ragazze che hanno dato la propria vita per permettere ad altri coetanei di fare un salto in avanti, di essere liberi, pensanti.
Oggi sembrano tornare quei tempi bui. La scuola è nuovamente vessata, maltrattata, impoverita. Perché ancora una volta l'assenza di istruzione e di cultura, più in generale, è funzionale a un potere che ci vuole vuoti, inerti e inermi di fronte a qualsiasi sua scelta.
La nostra scelta deve essere differente. Dobbiamo scegliere di partecipare, di capire e di difendere quei diritti, tra cui quello all'istruzione, che sono costati vite umane, sangue, sacrifici, povertà e dolore.
Quella scuola di montagna sopra Mocchie, da cui siamo partiti, oggi è abbandonata, vuota, morta. Non lasciamo che la nostra scuola, quella dell'Italia tutta, faccia la stessa fine. Lottiamo per sapere e per essere.

mercoledì 24 aprile 2013

La colpevole ignoranza

Domani ricorre il 78esimo anniversario della Liberazione. 78 anni son tanti. Meno di quelli del neo-rieletto presidente della Repubblica ma tanti. Allora può avere senso chiedersi, oggi, cosa significa scendere ancora in piazza il 25 aprile per ricordare il giorno in cui la guerra contro la dittatura e il nazifascismo fu vinta. Il senso sta qui, nelle parole della lapide sulla sinistra di questo post, la cui foto (con grande senso dell'opportunità) Mario ha postato sulla pagina dell'Anpi Bussoleno-Foresto-Chianocco. Per leggerla più comodamente, è sufficiente cliccarci sopra. E quando Calamandrei invitava ad andare là dove sorgono le lapidi che ricordano il sacrificio dei partigiani, sono sicura che immaginasse come tutti avrebbero potuto sentire quello che io sento leggendole e scorrendo i nomi di tutti quei ragazzi e quelle ragazze che hanno dato la vita perché oggi potessimo avere quelle libertà fino ad allora negate.

Stamattina ho dato una lettura veloce a La stampa. Invito a leggere il Buongiorno di Gramellini perché dà un paio di spunti per profonde riflessioni. Gramellini racconta, tra l'altro, di una persona che non sa esattamente cosa si festeggi domani e si stupisce che i bambini stiano a casa da scuola. 

La riflessione che mi è cresciuta dentro è arrivata quando nell'arco di questa mattinata, in più d'uno mi abbiano chiesto cosa avrei fatto domani e alla risposta «Vado alla commemorazione» mi abbiano guardata come se fossi una pazza nostalgica. In sostanza, per la più parte degli italiani, il 25 aprile non è più memoria ma soltanto un giorno di festa, da agganciare con il fine settimana per un lungo ponte di relax.

Tante volte mi sento aliena. Stamattina, in modo particolare. Perché l'unica volta che il 25 aprile ero al mare con la famiglia (grazie alla concomitanza con la Pasqua) siamo andati alla commemorazione del 25 aprile ad Arma di Taggia. Mi sento aliena perché mi sembra quasi di aver bisogno di una scusa per ritenere importante questo giorno, la memoria, l'insegnamento della Storia.

E mi sembra chiaro, spero non sia solo l'amarezza a parlare, che agli italiani della Storia non freghi nulla. Ancora stamattina un servizio del quotidiano succitato dileggiava il M5S per aver eletto Rodotà con quattromila e rotti cyber-voti quando con qualche televoto in più o in meno si è decretato il vincitore di non so quale talent show. Ma qui il problema non sono i ragazzi del M5S a cui si può criticare qualsiasi cosa ma non la voglia di partecipazione. Qui, il problema è ben più grave e se non ce ne rendiamo conto, domani potrà arrivare un Mussolini qualsiasi e si troverà di fronte la stessa ignoranza dei primi del '900. Ma questa volta sarà un'ignoranza colpevole perché l'opportunità di non esserlo, oggi, l'abbiamo.

Domani, quando di fronte a me ci saranno ancora i pochi superstiti di quella Resistenza (da cui, ricordarlo non fa mai male, è nata la nostra Costituzione che tutti oggi tirano per la giacca secondo convenienza) io mi sentirò meno aliena ma un po' colpevole perché mi sembra sempre di non fare abbastanza, di non meritare l'eredità dei partigiani e di tutti i civili che li hanno aiutati, nascosti, sostenuti, nutriti, vestiti e incoraggiati.

L'8 settembre di quest'anno saranno 80 anni dall'inizio della Resistenza. I tempi sono cambiati ma c'è un'identica necessità di resistenza, oggi. Rendiamo il giusto tributo alla lotta di Liberazione: non torniamo ad essere sudditi, neanche (o soprattutto?) culturalmente. Libertà è partecipazione. Qualcuno molto più bravo di me l'ha scritto e cantato. Crediamogli.






sabato 13 aprile 2013

Emergenza democratica in val Susa?

Domani sarò qui ad ascoltare con l'Anpi Bussoleno. 

Vi terrò informati, se riesco, in tempo reale.


H 10
Cominciamo con l'introduzione dell'ANPI Grugliasco. Il tema è il Tav visto dalle sezioni ANPI. Un tema che l'associazione nelle sue dirigenze provinciali, regionali e nazionali ritiene di "non competenza" ma che, invece, parte della base non solo ritiene di competenza ma anche prioritario. Fulvio Grandinetti (ANPI Grugliasco) ha aperto la giornata di lavori ricordando la Costituzione nata dalla Resistenza e con la proiezione di un video muto che illustra lo stato dei lavori al cantiere Tav della Maddalena a fine 2012.

H 10,30
Salgono sul palco i relatori: Ugo Berga, partigiano e commissario politico della 106esima Garibaldi, Mario Solara ANPI Bussoleno, Claudio Giorno (storico del movimento anti-Tav) e Sandro Plano, presidente della Comunità montana valle Susa.
Berga ricorda il grugliaschese don Caustico, fucilato con altri 67 antifascisti il 30 aprile 1945.
"La Resistenza era fatta di due componenti: quella spontanea della popolazione e quella politica, entrambe volte a rovesciare il regime fascista - ha detto Berga - Noi siamo molto fieri della Resistenza italiana ma la nostra resistenza è nata molto tardi rispetto ad altri Paesi in cui si lottava già da due o tre anni. Alcuni dei no Tav dicono siamo i nuovi partigiani e il parallelismo in effetti c'è. La nascita del movimento è popolare anche se non c'è un movimento politico che lo anima. Tutti i partiti, con pochissime eccezioni, si sono schierati a favore del Tav. Sono tutti per la democrazia e per il popolo sovrano ma quando poi il popolo sovrano contesta qualcosa allora il popolo sovrano è già meno sovrano".

Grandinetti chiede a Ugo se è preoccupato per il futuro. "Ci sono ragazzi di 25 o 30 anni precari e senza futuro, con lavori saltuari. Vivono con l'aiuto dei genitori o dei nonni. Ma quando avranno 45 o 50 anni e non avranno niente cosa succederà?" risponde il partigiano.

Prima di proseguire si proietta un filmato della Rai (servizio de L'ultima parola) in cui si dice che l'ordine pubblico per il cantiere Tav costa 90mila euro al giorno.

Claudio Giorno: "Per il 25 aprile sarò a Marzabotto dove là esiste medesima polemica nata qua: si può paragonare la Resistenza al movimento No Tav in Val di Susa? Quando abbiamo cominciato la lotta contro il Tav pensavamo che saremmo rimasti quattro gatti perché si prospettava una lotta titanica contro interessi giganteschi e contro la mafia che dei grandi cantieri si nutre. Per noi era importante testimoniare in valle di Susa per queste ragioni e anche perché in un posto come il Piemonte e la valle di Susa è necessario parlare di mafia e di criminalità organizzata e della matrice di tante opere inutili e imposte. Se qualcuno ancora oggi pensa che la nostra sia la lotta contro un treno o contro il progresso o non ha capito niente o è in malafede".

Ancora un video. L'irruzione violenta delle forze dell'ordine in un bar del Vernetto di Chianocco contro i manifestanti durante le manifestazioni no Tav del febbraio 2012 -YouReporter-
Introduce il tema della repressione violenta del dissenso.

Grandinetti: "Dopo il 2005 non si può dire che non esista un'emergenza democratica in Val Susa. È chiaro che l'ANPI non si occupa di treni ma qui il tema non è il treno ma i diritti dei cittadini e l'ANPI non può prendere posizione. L'ANPI non è No Tav o Si Tav ma è si Costituzione".

Mario Solara: "L'Anpi Bussoleno, ma non solo, sostiene questa posizione anche perché nel 2005 sono stati gli stessi partigiani a partecipare con noi alle manifestazioni popolari, perché abbiamo scelto da che parte stare, perché ricondurre tutto alla volontà di fare un treno è ingiusto e fuorviante. In questo momento di crisi, ripensare alla tipologia di investimenti ci sembra opportuno e poi, soprattutto, ci siamo schierati per la gestione dell'ordine pubblico e per la repressione pesante in ogni occasione in cui c'è una qualsivoglia forma di protesta. Non si può pensare di portare avanti un'opera pubblica in questo modo".

Sandro Plano per le istituzioni: "Stiamo vivendo un momento di totale idiozia politica e sociale. La valle di Susa tante volte è stata udita ma mai ascoltati. Siamo in torto dal punto di vista della democrazia, dunque, essendo minoranza ma io credo che, visto lo sfacelo della attuale politica, dove ci sono inquisiti e condannati e dove si vota che Ruby è la nipote di Mubarak, siamo nel giusto. Quando mancano gli argomenti di ricorre alla polizia e alla magistratura e nel nostro caso è lapalissiano. Io sono iscritto a un partito che ha tentato più volte di espellermi e che fa diversi pesi e diverse misure a seconda degli iscritti. Avere la maggioranza non vuol dire avere la verità in tasca. Qualche senatore continua a fare pericolosissimi accostamenti tra no Tav e terrorismo. C'è una differenza enorme. Terrorismo vuol dire aspettare qualcuno dietro un angolo, sparargli e scappare. I nostri ragazzi protestano a volto più o meno scoperto ma non fanno cose del genere".

H 12
Cambio relatori. Sul palco: Giacomo Gorgellini ANPI Nizza-Lingotto, Gianna De Masi, Mariangela Rosolen, Mauro Marinari (sindaco di Rivalta di Troino).

Gorgellini: "La nostra sezione aderisce con appelli e militanza alla lotta No Tav proprio basandosi sulla Costituzione perché crediamo che questa emergenza democratica sia reale e l'abbiamo vissuta anche sulla nostra pelle".

Marinari: "Noi siamo un'esperienza civica e non dobbiamo seguire la linea di nessun partito. Questo ci permette la libertà di essere vicini ai nostri cittadini, di tutelare il paesaggio e di contrastare eventuali scelte non condivise e calate dall'alto. Portiamo avanti i nostri principi, valori e obiettivi tra cui la lotta al Tav poiché richiama un modello di sviluppo perdente e crescista a tutti i costi che a noi non interessa. La Resistenza ci ha lasciato un'eredità importante che occorre recuperare per lasciarla alle giovani generazioni".

H 12,45
Si parla di acqua pubblica, anche partendo dal rischio delle falde in valle di Susa, poiché anche la battaglia per l'acqua pubblica c'entra con la democrazia.

Giunti: "Quella che viene attuata adesso, contro la cultura, l'istruzione e l'ambiente non è una politica miope. È una politica che ci vuole schiavi e non esseri pensanti e liberi. È dunque una politica lungimirante ma sbagliata". Giunti chiude citando un articolo che la Costituzione non ha ma su cui la Costituente ha lungamente dibattuto: "La resistenza individuale e collettiva, agli atti dei pubblici poteri che violino le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla presente costituzione, è diritto e dovere di ogni cittadino. Giuseppe Dossetti. Proposta di articolo 3".

domenica 7 aprile 2013

Le colpe dei padri

Ho appena chiuso l'ultima fatica letteraria di Alessandro Perissinotto, «Le colpe dei padri», e scrivo su quell'onda emozionale che sempre mi rimane quando finisco un libro, quando l'ultima pagina mette fine a una storia che quasi mai vorrei finisse così come l'autore l'ha immaginata.

Io credo, nella mia vita di lettrice, di aver odiato poche volte, così profondamente, il protagonista di un romanzo. Guido Marchisio, dirigente di una multinazionale e quasi mio coetaneo, incarna tutto ciò che rende questo mondo un posto più brutto in cui vivere. Non basta una sua catarsi lunga trecento e rotte pagine per renderlo più simpatico, non basta alcuna tragedia, alcun dolore che si immagina possa aver provato. E non credo che basti neppure all'autore. L'ingiustizia fa parte della vita e non prenderne atto è forse cosa da bambini. Contraria da sempre al lieto fine forzoso, dovrei godere di questo ritratto contemporaneo, di questo spaccato di realtà e, invece, mi sento orfana di un riscatto.

«E' questa la colpa più grande di ogni padre, quella di costringere i figli a rendergli conto delle loro azioni. In questo, i padri terrestri sono più esigenti di quelli celesti. Quelli celesti li possiamo negare o addirittura possiamo scegliere quello che ci sembra più facile da esaudire: Dio, Geova, Allah, Buddha, Manitù; quale dio mi si addice meglio? Di quale mi sarà più semplice essere figlio obbediente? Dei padri umani, invece, siamo prigionieri: siamo liberi di compiacerli o di deluderli, ma non di plasmare le loro aspettative nei nostri confronti».

Scritto tra l'oggi dentro l'oggi e l'oggi dentro gli anni di piombo, «Le colpe dei padri» ti mette in gioco. Ti costringe a parteggiare, a scegliere tra le mille gradazioni di errore cui solo l'esistenza umana sa dar vita. Noi siamo persone, uomini e donne, e la perfezione non è contemplata.

Di Perissinotto continuo a preferire il buon Colombano da Romean, lo scalpellino. Tuttavia, i romanzi dell'autore torinese hanno sempre il pregio di riuscire a mettermi in discussione con me stessa. Cosa che, personalmente, apprezzo molto.

venerdì 5 aprile 2013

Chi non ha niente da perdere

Chi non ha niente da perdere, a volte, decide di uccidersi. Oggi, marito e moglie si sono impiccati a Civitanova Marche. Lui era esodato (chissà se alla Fornero - ma anche ai 20 anni di indegna politica Pdl e oltre - fischiano le orecchie), lei pensionata. Ma i quattro soldi che la donna portava a casa non bastavano per arrivare a vivere dignitosamente. Non bastavano neanche per vivere. Neanche per pagare l'affitto.

Alle future generazioni stiamo uccidendo il futuro ma alla mia generazione e a quella che appena la precede stiamo cancellando la possibilità di invecchiare in maniera dignitosa, senza dipendere dai figli o, peggio, dall'assistenza sociale o dalla Caritas. Chi ci governa o è completamente cieco e sordo o ha deciso, scientificamente, di sacrificare tre o quattro generazioni di italiani che, in un modo o nell'altro, prima o poi scompariranno lasciando la situazione immutata ma con meno "peso" sociale, i soldi a chi li ha e le briciole agli altri (come da secoli, noi stessi facciamo con il terzo mondo?).

Chi non ha niente da perdere a volte decide di non sacrificare la propria dignità, i decenni di lavoro, i debiti fino a poco prima sempre pagati, i valori ricevuti, gli insegnamenti, i momenti di felicità sull'altare di un'economia che non guarda a chi soffre ed è senza soldi (perché il welfare è un capitolo di bilancio che non può - e non deve! - essere in attivo). Chi non ha niente da perdere, a volte, preferisce scomparire silenziosamente e questo doppio suicidio ne è quasi l'emblema. Quanti anni avrebbero potuto ancora vivere insieme i due? Dieci, cinque, venti? Sono anni rubati da una politica vergognosa, lanciata verso il nulla, che - come dico spesso - era facile prevedere perché negli States, patria del neo-liberismo, è già così da tempo. Non hai soldi? Non ti curi, non invecchi, non hai casa, non hai futuro, non hai voce. Niente.

Chi non ha niente da perdere a volte si uccide.

A volte.

A volte, invece, prende un bastone e uccide. Perché male che vada muore, esattamente come avrebbe fatto se avesse preferito il cappio al bastone. La politica che non prende in considerazione la forza della disperazione è una politica già morta in partenza. Chi non ha nulla da perdere, talvolta, diventa un esempio. Anche per chi qualcosa da perdere ce l'avrebbe, ma che lo mette in conto.




Uno dei link con la fredda cronaca:

giovedì 4 aprile 2013

Vivere sotto occupazione

Lisa, Fabrizio e Sami in biblioteca a Bruzolo
Ieri sera, in biblioteca a Bruzolo, la protagonista è stata la Palestina, vista e raccontata da due meanesi, Lisa Ariemma e Fabrizio Arietti, che hanno passato sette giorni in questa terra affascinante e complicata. E' stata una serata molto interessante, non solo per chi aveva già un'idea generale di quale fosse la situazione.

Occupazione. E' difficile, da qui, rendersi conto di cosa possa significare vivere in perenne occupazione. Foto e filmati aiutano a capire ma Sami Hallac del Comitato di solidarietà con il popolo palestinese di Torino, anche lui ospite ieri sera della Pro loco, consiglia un viaggio - anche turistico, beninteso - nei territori occupati. Solo così, spiega, si arriva a capire.

Lisa e Fabrizio hanno fatto esattamente questo. Sono partiti e sono stati sei giorni in Palestina, tornando indietro con splendide foto e un'esperienza umana, a loro detta, meravigliosa.

Occupazione. Violazione ai principali diritti umani. Non potersi muovere, andare dove si vuole, non avere diritto neppure di una propria casa poiché se gli israeliani vogliono raderla al suolo e prendersi quel terreno semplicemente lo fanno. «Siamo tornati a casa con una missione - raccontano Lisa e Fabrizio - Dare una mano e far capire cosa succede laggiù. Occupazione vuole dire che nella tua città non ti puoi muovere come vuoi ma devi chiedere il permesso anche semplicemente per andare dal dottore, per comprare il pane. Occupazione vuol dire morire di parto per la strada perchè non ti è permesso raggiungere l'ospedale. Occupazione vuol dire che la tua vita non vale nulla. Occupazione vuol dire vivere a dieci minuti dal mare senza averlo mai visto o che da domani, forse, casa tua diventerà di qualcun altro. Occupazione sono le code interminabili ai check-point sperando che il soldato sia di buonumore».

Sono tantissimi i volontari di ogni nazione del mondo che vanno in Palestina per cercare di aiutare. C'è chi fa da scudo umani tra i palestinesi e i coloni, chi accompagna bimbi palestinesi a scuola perché diversamente non potrebbero andarci, chi manifesta con i palestinesi perché questa situazione diventi di dominio pubblico.

A Hebron sono 400 i coloni contro 180mila cittadini palestinesi. Ci sono 2000 militari solo per difendere queste 400 persone. I check point sono ovunque: 500 sono fissi oltre a 100 mobili, anche nelle zone interamente palestinesi. La moschea di Abramo è divisa a metà da un muro. Ci sono due ingressi separati, da una parte entrano gli israeliani e dall'altra i palestinesi. All'ingresso ci sono i metal detector.

«Gli insediamenti israeliani sono fatti a macchia di leopardo cercando di frammentare la presenza palestinese - spiega Sami - Israeliani e palestinesi hanno una rete di strade separate. E' tutto separato. Se uno vuole può andare in Israele senza incontrare neanche un palestinese». Tra le azioni che palestinesi e attivisti internazionali fanno per cercare di sensibilizzare il mondo sulla tragica situazione che si vive nei territori occupati ci sono proprio le "incursioni" sulle strade israeliane. «Ma il pericolo maggiore è rappresentato dai coloni civili - dice Sami - che si sentono autorizzati anche a prenderti sotto». La settimana che sono stati in Palestina Lisa e Fabrizio è stato investito un ragazzo americano, per fortuna senza gravi conseguenze. «Se fosse morto non sarebbe successo nulla» precisa Lisa.

Tante esperienze per un frammento di ingiustizia grande come il mondo. 

Da vedere assolutamente, un film "5 broken cameras"
In questo link una recensione: