venerdì 22 febbraio 2019

#322 (l'avevo saltato e lo recupero) R-Esistenza

La Resistenza.
Quella con la R maiuscola.
Sembra lontana nel tempo. Settembre '43 - Aprile '45.
Decine di generazioni, compresa la mia, sono nate senza averne vissuto neanche un ricordo.
Eppure, tutti quei grandi valori, per cui tanti ragazzi e ragazze di allora hanno combattuto, li diamo oggi per scontati senza averne che un frammento. Il fascismo aveva in mano la nazione. La controllava con la propaganda, la scuola, la violenza. Quasi l'intera Italia era fascista prima del settembre '43. Perché alzare la testa poteva costare ben più che l'olio di ricino e botte.
Chi si ribella all'oppressione è sempre una piccola minoranza. In ogni periodo storico. Tutto sommato è più comodo cercare di essere invisibili, continuare a vivere la nostra piccola vita piuttosto che cercare di cambiare il corso della storia.

Invece, nel settembre '43, qualcuno decise che le cose potevano essere cambiate. Che la dittatura poteva essere soverchiata.
La gran parte di chi fece parte della Resistenza era giovanissimo. I più "vecchi" erano i soldati reduci dalle colonie e dalla ritirata di Russia. Diciamo che, facendo una media, potevano avere poco più di vent'anni. Venticinque, via.

Giovani uomini, ragazzi e, spesso, poco più che bambini.

Domattina andremo a salutare Attilio Bonaudo, che non ho avuto il piacere di conoscere personalmente, nel suo ultimo viaggio terreno. Attilio era nato nel '28. Ovvero, ha deciso di unirsi alla Resistenza che aveva sì e no 15 anni.

Quello che spingeva giovani e giovanissimi a lottare contro il fascismo dovrebbe essere, oggi, palese. Un assunto. Invece, oggi, assistiamo ogni giorno ad un passo indietro nella direzione della negazione delle libertà personali, della fratellanza, della parità di genere e via dicendo. Ci stiamo assuefacendo all'odio. Stiamo facendo dell'egoismo la nostra ragione di sopravvivenza.


Domani pomeriggio presenterò un libro alla libreria "La città del sole": "Il treno che va in Francia" di Roberto Gastaldo.
Tornerò a parlare di Resistenza. Io che non l'ho mai vissuta ma che l'ho sentita raccontare mille e mille volte da chi, invece, ha messo a rischio la sua vita per lasciarci un mondo migliore.
Parlerà di Resistenza, in particolare valsusina, l'autore. A mio parere, è riuscito ad arricchire di particolari e di pathos alcune vicende note ma troppo spesso dimenticate.

Sarà una giornata dedicata alla Resistenza e all'esistenza. Se noi possiamo avere un'opinione (pur ributtante) ed esprimerla pubblicamente lo dobbiamo alle partigiane e ai partigiani di allora. Se noi abbiamo una democrazia costruita sulla Costituzione (forse la migliore del pianeta) lo dobbiamo sempre a loro.
Perché forse non ci hanno spiegato abbastanza quanto orribile e buio fosse il periodo fascista. E non ci sono fogne, bonifiche o treni in orario che tengano. 
Mia mamma era una bambina di due anni al tempo. Mio nonno, suo padre, era un contadino. Classe '04. Era uno di quelli che non erano stati costretti ad arruolarsi per diverse ragioni. Non era partigiano. Non era fascista. Era un contadino. Un giorno ha abbattuto a colpi di mazzetta il balcone di casa sua, nel cuore delle Langhe, affinché i fascisti non ci potessero impiccare più nessuno.
Un giorno, per rappresaglia, su un camioncino i fascisti radunarono quasi tutti gli uomini del piccolo paese. Direzione: campi di concentramento. Non era uscito il nome di chi avesse ucciso un paio di camicie nere. Il parroco del paese si autodenunciò, pur essendo innocente. Fu portato via e di lui non si seppe più nulla.

Sembra lontano. In altri Paesi del mondo è successo più recentemente e succede tuttora. Ma noi siamo concentrati a cercare il nemico dove non c'è. Noi siamo concentrati a guardare il dito che indica la luna. Siamo così distanti da quello che avevano sognato i partigiani e coloro che li hanno aiutati in ogni modo, che potremmo tranquillamente ricadere nelle medesime dinamiche.

Peraltro, neanche 80 anni dopo.

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