sabato 10 novembre 2012

Il sacchetto del pane

Non abbiamo più la coscienza del riuso e del riciclo. In due o tre generazioni è stata stroncata dal consumismo esagerato: serve tutto anche se non serve. Se non ce lo si può permettere lo si compra a rate. Avere serve per essere, non di ausilio alla quotidianità.

Ci pensavo oggi mentre usavo la carta del sacchetto del pane per togliere l'unto alle patate fritte. A casa mia non si butta nulla che possa avere un qualsiasi futuro di riciclo ma solo perché io insisto, stresso, strepito. La mia è una lotta quotidiana con la maleducazione civica insita e derivata. Insita degli adulti che mi vivono intorno, a cui sembra inutile e sciocco fare la raccolta differenziata e non capiscono perché se buttano un vasetto di vetro nell'immondizia a me vien quasi un infarto. Derivata nei bambini, i miei bambini, che hanno intorno esempi contrastanti e che a scuola imparano che non hai le superfighissimematite oppure il pupazzettorobotdiultimagenerazione non sei nessuno. Poi, però, i miei figli leggono, sono bravi a scuola, hanno fantasia e, forse non capendo il perché, si adattano a vivere senza (o quasi) tutte le cazzate che escono in edicola ogni due ore.

Io sono cresciuta in una casa in cui non si buttava via niente e tante cose sono tornate utili. Altre no, ma c'è sempre tempo a buttar via. Sono cresciuta in una casa in cui mia madre, alla fine della cena, raccoglieva le briciole con il cucchiaino. Non perché si morisse di fame. Ma perché sprecare è brutto. Questa cosa mi è rimasta dentro in ogni mio passo. Tant'è che ho ancora le magliette di quando facevo il liceo. Anche i pantaloni, ma in quelli non ci entro più.

Stamattina ho incontrato un'amica che mi ha detto «Hai visto? Ostetricia a Susa chiude». Meno male che a giugno quando ne scrissi su Luna Nuova mi dissero che le "ferie" estive non erano il preludio della chiusura, ho pensato. Poi il discorso è finito sulle scuole e sulla provocazione di Saitta di fare un giorno in più di vacanza per risparmiare sul riscaldamento. «Mio padre - mi ha detto questa mia amica - andava a scuola e si portava il suo pezzo di legno da mettere nella stufa». Sembra che siano passati millenni ma non è così. A scuola c'era la stufa e ognuno si portava il suo ciocco per scaldarsi. Solo 60 anni fa.

Non auspico che si torni ai tempi in cui ci si portava il ciocco di legno a scuola ma voglio leggerci il bello in questa immagine. Gli alberi che, invece di essere rasi al suolo indiscriminatamente, o abbandonati nei boschi con i rischi di smottamenti che sappiamo, diventano legno utile e poi cultura, educazione. Un'educazione civica che abbiamo completamente perso in nome dell'avere per essere e le cui conseguenze sono sotto gli occhi di tutti noi ogni giorno. Auspico che la modernità ci faccia crescere invece che seppellirci sotto montagne di cose inutili e ci insegni anche a riutilizzare il sacchetto del pane.

2 commenti:

  1. mi piacciono le tue considerazioni. ci pensiamo spesso anche a casa mia. la storia, anche quella semplice, quotidiana, dei nostri nonni, serve, eccome se serve.

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  2. Senza andare lontano, fino ai nostri nonni, ricordo ancora come da piccola, dopo aver bevuto la bottiglia di acqua minerale, la riportavo in negozio. "Vuoto a rendere" c'era scritto...

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