lunedì 5 ottobre 2020

L'importanza della sintesi

Io amo il calcio.

Lo so, sono una donna. Ciò nonostante, so come funzioni il fuorigioco e mi piace guardare le partite. Ho il grande "difetto" di essere torinista e, quindi, ho un'affezione per il gioco del pallone che non dipende dalle vittorie e tanto meno dal calcio-mercato.

Il calcio è uno sport meraviglioso che insegna il gioco di squadra, si può giocare praticamente ovunque e, quando lo pratichi, riesce a cancellare dalla mente ogni pensiero e a trasformarti in un bambino felice qualsiasi età tu abbia. E' bellissima anche la rivalità, quando è sana e quando si conclude con quel terzo tempo che il football ha raramente imparato dai cugini con la palla ovale.

A guardalo oggi, questo calcio fa male. E mi fa pena.

"The show must go on". Sempre. In qualsiasi condizione. A discapito di qualsiasi cosa ma, soprattutto, persona o, peggio, esempio. Sottomesso, senza scampo, al dio denaro. Nella peggior sottomissione di sempre.

Quando il campionato ha ripreso le partite, mentre tutto il mondo affrontava arrancando la pandemia, ho pensato che fosse un errore. La politica si fa con l'esempio, prima di tutto. Il messaggio che passava, mesi fa, è che il calcio contasse più della scuola, degli autonomi, dei dipendenti delle aziende e, in pratica, di qualsiasi altra attività. Soprattutto di quelle che non muovono neanche mezzo punto di PIL.

E io, che amo il calcio, ho smesso di seguirlo. Mi sembrava il minimo che potessi fare. Non leggevo neanche più i risultati. Una disaffezione dolorosa, poiché auto-inflitta per motivi etici.

Ora, nella recrudescenza della stessa pandemia, il campionato va avanti anche con due decine di contagiati in ogni squadra. Serve ricordare che basta un alunno positivo per fermare una classe, quando non un intero istituto?

Al Napoli viene impedito di volare a Torino? No problem. 3-0 a tavolino per la zebra. Il Genoa ha 22 contagiati? Che vuoi che sia, facciamo giocare l'under 13, tanto il risultato è più o meno lo stesso (mi perdonino i genoani ma lo direi anche del Toro).

Ventidue giocatori in campo, tre arbitri, venti riserve, massaggiatori, commissari tecnici e loro vice, squadre di soccorritori, cameraman, giornalisti. Anche quando il circo gioca a porte chiuse, chiunque può immaginare quanta gente, direttamente e indirettamente, possa essere esposta al virus. Il calcio è un sport di squadra e di contatto. Non è mica il tennis o il salto in lungo.

"Eh, vabbé, ma fa girare i miliardi" mi si contesta.

Non trovo un'espressione che mi rappresenti, in grado di rispondere a questa obiezione, e che si possa riassumere in poche parole evitando una digressione lunghissima sul ruolo dello Stato (che saremmo noi, nell'utopia che amo). Dunque, la importo dai romani. Che loro sanno l'importanza della sintesi.

E sticazzi!