Se escludiamo i ceffoni di mia madre, che facevano più male all'orgoglio adolescenziale che al corpo, io non ho mai subito violenza fisica.
Ho preso un pugno, una volta, tirato a freddo da un tizio che neanche conoscevo, fuori da una birreria, per concludere un diverbio verbale che non era in grado di sostenere. Non ho neanche risposto. Non mi sono mossa. Gli ho chiesto solo "Adesso stai meglio?" e lui se n'è andato.
Violenza verbale ne ho subita assai, invece, una volta cresciuta, fuori dalla bolla della famiglia.
La maggior parte delle volte non mi ha lasciato segni. Ho una grande qualità (che mia madre riteneva un difetto): spesso quello che mi dicono mi attraversa come se fossi fatta d'aria. Ti passa da una parte all'altra, diceva lei. Tuttavia, quando la violenza mi ha lasciato segni ho sempre cercato prima il riscatto e poi la vendetta. Non credo sia un segno di maturità ma non posso farci nulla. Il male che ricevo, se si crea l'occasione adatta anche a distanza di anni, lo restituisco con tutti gli interessi. A mia parziale discolpa, faccio lo stesso con il bene ricevuto.
La rabbia per una condizione sociale iniqua rispetto al mondo maschile che mi girava intorno, l'ho sempre convogliata imparando a fare bene tutto quello che fanno i maschi e per cui loro, chissà perché, si sentono superiori: sostituire una ruota, riparare un oggetto rotto, orientarsi con una cartina, guidare una moto o un altro qualsiasi mezzo, sapere come funziona un motore, un impianto elettrico o un'antenna e via dicendo. Senza trascurare, naturalmente, tutto il resto.
Perché i maschi, con tutte le eccezioni del caso, rispettano solo quello che sono in grado di capire. Così, per molti versi, io sono un maschio fatto e finito.
Nonostante questo, o forse per questo, per anni mi sono trovata ad occuparmi, da sola, di tutte quelle mansioni che la società attribuisce al mondo femminile (la cura della casa, della persona e dei figli) e anche del resto. Perché se un maschio, sempre con tutte le eccezioni del caso, non ha necessità di occuparsi di qualcosa semplicemente non se ne occupa. E io, caratterialmente, non sono in grado di obbligare le persone a fare qualcosa. Scioccamente, mi aspetto una cooperazione che di fatto non esiste, non solo tra uomo e donna ma in generale tra esseri umani.
Ho costruito me stessa con dieci corazze. Solo alle persone che amo mostro davvero come sono, ma le capacità e le competenze che ho appreso nel corso dei decenni mi sono servite in mille occasioni.
Il germe di tutto questo lo devo a mio papà, che mi ha tirata su esattamente come faceva con mio fratello. Lo devo alla sua capacità di insegnare quello che sapeva - sia a livello culturale che a livello pratico -, alla sua pazienza e alla sua naturale abilità a non fare differenze di genere.
Così, questo mio 8 marzo, voglio dedicarlo a mio papà (che non c'è più da quasi trent'anni). Perché vorrei che ci fossero sempre padri capaci di capire che nascere femmina o maschio non fa nessuna differenza.
E vorrei dire a tutte quelle donne che si sentono in trappola e che credono che una via d'uscita non ci sia, che è difficile (a volte molto difficile e apparentemente impossibile) ma una via d'uscita c'è. E sempre, sempre, sempre, quella via d'uscita è trovare la forza di capire noi donne siamo esseri umani con gli stessi identici diritti dei maschi. Se qualche meccanismo nel nostro cervello ci farà sentire in qualche modo inferiori, il nostro peggior nemico sarà sempre il nostro cervello.
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