martedì 19 marzo 2013

Auguri papà

Oggi è la festa del papà. San Giuseppe, il papà per antonomasia. Il mio augurio va, dunque, a tutti i papà che conosco e che non conosco ma che siano degni d'essere chiamati tali. I papà che amano i propri figli, che sono presenti nella loro vita e nella loro educazione, che se ne prendono cura e che sanno farsi rispettare senza incutere quel timore reverenziale di quei padri a cui si dava del Voi.

Il mio primo ricordo d'infanzia è una spettacolare giornata estiva, in cui il cielo era blu cobalto e nella strada dove abitavo la mia casa era l'ultima prima dei prati alle pendici del monte San Giorgio. Dovevo avere circa quattro anni e mio papà aveva deciso che ero abbastanza grande per togliere le rotelle alla mia bicicletta. Era bellissima la mia bicicletta. Piccina per una bambina piccina e meravigliosamente bianca e arancione, di quell'arancione che negli anni '70 dominava ogni ambiente. Mi ricordo come se fosse oggi che mio papà mi corse dietro tenendomi per la sella. Bastò pochissimo e già andavo da sola ma dicevo a papà «Non mi lasciare» e lui faceva finta di tenermi.

Mio papà era un uomo severo nell'educazione dei figli ma straordinariamente eclettico e in ogni cosa che faceva coinvolgeva me e mio fratello senza fare distinzioni di genere. Lui mi ha insegnato a lavorare sugli impianti elettrici, a guidare la Vespa, ad andare a spasso per boschi con il cane. Mi ha coinvolto nell'informatica quando ancora o personal computer erano dei carrozzoni senza neanche l'hard-disk e i fogli di calcolo sembravano fantascienza.

Ricordo come oggi la sera che andai allo Human rights now a Torino (un concerto). Avevo 18 anni ed era una delle prime volte che mi fu concesso di uscire da sola la sera. Usciti dallo stadio comunale c'era una coda spaventosa di auto e riuscimmo a tornare a casa solo intorno alle tre. Mio papà non era persona che metteva le mani addosso ai figli ma la sgridata è ancora ben impressa nella mia mente.

La casa dove sono cresciuta è una bella villetta che allora era circondata dal verde. Mio papà e mia mamma hanno lavorato tutta la vita per farsi la casa e un po' li invidio perché probabilmente io lavorerò tutta la vita se va bene per non lasciare debiti ai miei figli. Una volta un topolino si era introdotto nel nostro bagno, era entrato nella vasca e non riusciva più a uscirne. Era un topino minuscolo ma io ho la fobia dei topi. Sono entrata in bagno, l'ho visto e ho piantato uno strillo neanche ci fosse Jack lo squartatore. Papà, tre secondi dopo era lì. Ha guardato me, poi il topolino e poi mi ha detto «Paola, diofà, io soffro di cuore!».

Papà era comunista, laico, legato alla Cgil, odiava i socialisti e Craxi, ascoltava Gaber e Santana e la musica classica e con mio fratello realizzava aerei di balsa a motore che poi portavano a volare. Ha lavorato una vita all'Enel, fino a che non gli hanno detto che non poteva più per via dei gravi problemi di salute. Allora lui si è reinventato nell'informatica, si è riscoperto e sembrava se la fosse mangiata quella sua malattia.

L'ultima mattina che gli ho parlato era sul tetto di casa con un muratore che faceva sistemare l'antenna del CB che avevamo messo su alla membro di segugio solo perché potessi comunicare con i miei amici. Poi quella stessa mattina la malattia se l'è portato via, in un soffio per fortuna, senza che se ne accorgesse. 

Sono passati più di 20 anni da quel giorno ma gli auguri li voglio fare anche a lui. Ovunque sia. Auguri papà. Almeno un rimpianto non l'avrò mai perchè so di avergli detto «Ti voglio bene» e di averlo abbracciato quando ancora gli anni '70 e '80 ci lasciavano sperare che tutto sarebbe stato possibile.

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