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Morgana - Particolare di affresco |
Crespo
passeggiava per l’ufficio, lentamente, studiando ogni passo. Era
diventata la sua unica attività alla MotraTech, da circa dieci anni.
Prima di allora era tutto diverso: una brillante carriera, amici veri
e falsi, cene d’affari e trasferte. Uno stupido errore lo aveva
confinato tra quelle quattro mura e, con il passare del tempo, la
MotraTech si era dimenticata di lui. Il telefono suonava solo quando
era sua madre a chiamarlo. Nessuno gli affidava nuovi incarichi o gli
chiedeva un aiuto. Nessuno aveva bisogno di lui. Nessun collega gli
chiedeva di pranzare insieme. Tutta la nuova leva di impiegati non
sapeva neppure che ci fosse qualcuno nell’ufficio M47. Lo stipendio
arrivava regolarmente solo grazie ad una serie di automatismi e di
suddivisione dei compiti.
Può
sembrare una situazione snervante e patetica, ma Crespo era
tranquillo. Con il tempo aveva imparato a non sentire nemmeno più la
noia. Ne era diventato parte integrante, l’aveva smontata,
analizzata in ogni sua parte e ricostruita. E dopo questo studio
minuzioso, la noia, come noi la conosciamo, non esisteva più. Era
diventata una creatura reale, con la quale Crespo spesso dialogava.
“Non
ho paura di morire. Sono già morto. Guardami. Sono solo e non ho un
ruolo su questa terra, né qui né a casa. Misuro, ogni giorno, la
stessa stanza con i miei passi. L’inchiostro delle mie penne
stilografiche si è seccato. Ogni mattina arrivo alla stessa ora e me
ne vado via ogni sera alle cinque. Un po’ di spesa. A rotazione,
sempre lo stesso cibo. Mi preparo la cena ed il pranzo per il giorno
dopo. Dopo? Caffè, televisione ed un buon sonno.”
“Sei
una persona abitudinaria. E’ un delitto?”
“Abitudinario,
prevedibile, ripetitivo… monotono.”
“Quanti
sinonimi conosci?”
“Mille
e più. Sono tutti i tuoi nomi. Ma io ti chiamerò Morgana anche se
un nome così bello e creativo non si adatta a chi non conosce il
significato di immaginazione.”
“L’immaginazione
è bella?”
“E’
meravigliosa”
“L’immaginazione
è colorata?”
“Con
ogni tonalità esistente e con molte che ancora non hanno un nome”
“L’immaginazione
è dolce?”
“Il
più succoso frutto del paradiso terrestre”
“Profuma?”
“Ha
il profumo della pelle dei neonati”
“Non
riesco a vederla”
“Io
sono diventato cieco”
Crespo,
un giorno si intestardì. Doveva far capire a Morgana cos’era la
fantasia. Si fermò di colpo in mezzo alla stanza e lei ne risentì.
Era il primo gesto non previsto ch’egli compiva da un mucchio di
tempo.
“Che
fai?” gli chiese. Aveva sentito un lieve dolore.
“Prendi
la musica…” le confidò Crespo, ma non seppe continuare. Per lui
era già palese, ma allo stesso tempo non trovava più, dentro sé,
le parole giuste per dare un senso ai suoi pensieri. Morgana era
impallidita e lo guardava con un’espressione preoccupata.
“Lascia
stare la musica. E’ il momento del caffè. Esci sempre per il caffè
a quest’ora”. Lo incalzò e lui si lasciò fare. Come ogni
giorno. Pensare era diventato faticoso. Troppo faticoso. Ricordare,
anche più faticoso. Aveva, infine, dimenticato anche perché ne
valesse la pena. L’abitudine era comoda, come la sua poltrona
preferita davanti alla TV.
Ma,
nonostante questa pigrizia derivata dalla monotonia più mera, Crespo
non era una di quelle persone che si davano per vinte. Dopo essere
uscito dall’ufficio, come sempre alle cinque, e dopo aver sbrigato
le solite commissioni, Crespo si ricordò di aver promesso a Morgana
di trovare un significato all’immaginazione. Si preparò la cena,
mentre lei lo guardava accigliata, e mangiò insolitamente in fretta.
“Perché
ti affretti?”
“Non
mi sto affrettando. Mi è solo venuta in mente una cosa. Forse posso
spiegarti cos’è la fantasia.”
“Lascia
stare. Non mi interessa.”
“Perché?
Non sei curiosa?”
“Curiosa,
io? Non so che significa la curiosità.”
“E’
impossibile. E’ la voglia di aprire un pacchetto di Natale, il
desiderio di conoscere ciò che non conosci.”
“E
a quale scopo?”
“Per
curiosità! Solo perché non lo sai.”
Morgana
si sedette davanti al televisore.
“Adesso
ti faccio vedere.” Crespo andò nella sua stanza e cercò dei fogli
bianchi ed alcune matite colorate. Sapeva di averle nascoste da
qualche parte anni prima. Ci mise quasi mezz’ora a trovarle. Andò
in cucina e disegnò un salice piangente. Fece attenzione ai
particolari, colorò il cielo e dipinse le venature foglia per
foglia. Quando finì cercò Morgana per farle vedere ciò che la sua
fantasia aveva prodotto. Ma Morgana era sparita. Crespo era troppo
stanco per cercarla così s’addormentò, tra il soddisfatto e il
deluso.
Morgana
non si fece viva per qualche giorno. Quando tornò Crespo non era più
in grado di descriverle quel particolare stato d’animo. Stava di
nuovo misurando a grandi passi il suo ufficio.
“Ti
odio. Ti presenti sempre quando sai di essere al sicuro da ogni
discussione.”
“Ma
quale discussione? Io non discuto mai.”
“Avevo
fatto un bel disegno.”
“Lo
vedo. E’ carino. Cosa volevi dimostrare?”
“E’
stato un parto della mia fantasia.”
“Bravo.”
“E’
tutto quello che sai dire?”
Morgana
tacque.
“Se
resti te ne faccio un altro.”
Non
le diede il tempo di rispondere. Si avvicinò alla scrivania e
dipinse ancora. Morgana non assistette. Dipinse per giorni in
ufficio. Fece decine di quadri, sempre diversi, convinto che Morgana
sarebbe tornata ed avrebbe capito. Ma con il passare del tempo si
dimenticò di lei. Prima scordò il suo volto e poi la sua stessa
esistenza.
I
quadri erano belli. Crespo era un uomo pieno di talento. Un giorno
qualcuno li vide e se ne innamorò. Fece una mostra che ebbe successo
e Crespo si trovò in un battibaleno fuori dalla MotraTech a vivere
delle sue opere. Si era persino fatto lo studio in casa. C’erano
colori dappertutto, tele, pennelli, matite, china. Ebbe tanto
successo che cominciarono a commissionargli ritratti.
Fu
nella casa della contessa Marina, mentre meccanicamente riproduceva
quel volto su tela che Morgana ricomparve. Sembrava fosse passato un
solo giorno. In quel momento fu Crespo a capire perché, in quegli
anni, lei non gli era stata vicino.