Una
donna con un pellicciotto sintetico dal colore postatomico si
avvicina noncurante. Gli sguardi di fuoco le bruciano le calze ed i
tacchi delle scarpe, sottili come le sue caviglie. I suoi passi
risuonano nel silenzio, anche se mai prima hanno suonato, ed il
leggero ticchettio sembra pioggia che cade sul tettuccio dell’auto.
Il sole sta sorgendo e dipinge il quadro con tutte le tonalità di
rosso, giallo ed arancio che un uomo possa immaginare e con qualcuna
che non avrebbe mai immaginato. E stupisce ancora, nonostante siano
millenni che replica lo stesso spettacolo.
Tutto,
intorno a quel buffo pellicciotto, prende i colori del giorno mentre
gli animali notturni prendono la via di casa, promettendo di
restituirla la sera stessa, e ritornano con la coda tra le gambe al
piccolo nido che qualcuno pulisce e sistema per loro. Li puoi
distinguere dalle creature diurne dall’espressione spenta di chi
vive la più intensa e faticosa esperienza umana, sebbene a volte si
possa trovare un’espressione simile altrove, volendola cercare.
L’assenza di luce scompare totalmente ed il traffico divora la
città. Fiumi di persone si riversano ovunque ed il ticchettio dei
passi scompare coperto da miliardi di suoni diversi. Lontane, le
sirene delle navi. Più vicini, il rombo dei motori delle auto, un
vociare confuso, urla di bambini, qualche motocicletta e serrande che
si aprono, il boato potente della metropolitana, i clacson, lo
sbuffare delle porte dell’autobus, le campane di una chiesa allo
scadere dell’ora e milioni di passi affrettati.
La
donna con lo strano pellicciotto entra in un caffè. Il profumo dei
croissant caldi le assale le narici, ma lei si siede ed ordina solo
una tazza di tè. Lo beve amaro e fuma nervosamente come se
aspettasse qualcuno e temesse un ritardo. Nel bar fa caldo, ciò
nonostante la donna tiene il pellicciotto ben chiuso. Le si
arrossano le guance mentre la sua attesa si prolunga evidentemente.
Accende un’altra sigaretta proprio quando arriva il mio autobus e
mi porta via.
A
tre fermate da dove mi trovavo capisco che devo scendere. Un po’ mi
spiace di essere partita prima di sapere chi aspettava quella donna,
ma la curiosità si spegne non appena scendo dal bus ed affondo i
piedi nudi nella sabbia calda e morbida di una grande spiaggia
dorata. La casa è poco lontana. Ha i muri bianchi e le finestre
marrone scuro. La sabbia comincia a scottare ma è solo un attimo. Mi
guardo i piedi e vedo un paio di zoccoli olandesi e non riesco a
ricordare se anche prima le avessi. In fondo ha poca importanza
perché sono arrivata alla casa e sto aprendo la porta.
Prima
di entrare guardo il mare e vedo due uomini seduti in una barca. Uno
di loro mi saluta e mi fa cenno di avvicinarmi. Sono indecisa se
entrare o raggiungere l’uomo. Sento il rumore delle onde ed il
fresco provenire dall’interno della casa. Vedo il sole che si
specchia nel mare e la penombra delle stanze protette dalle tende
pesanti. Approfitto comunque del costume che indosso e mi tuffo
assaggiando la salsedine rimasta sulle mie labbra appena riaffioro.
Sola,
in mare aperto. La costa non si vede più. Ho paura degli squali o
forse di annegare perché prima o poi mi stancherò di nuotare. Non
ci sono gabbiani. Non si sente nessun rumore se non lo sciabordio
leggero delle onde. Il mare è calmo e il sole rovente. Acqua. Acqua
dappertutto. Nuotare in una direzione o nell’altra è lo stesso.
Non riesco ad orientarmi e mi assale un profondo senso di panico
dovuto alla mia impotenza. Infine mi decido e comincio a nuotare. Non
sono mai stata molto brava e mi stanco subito. A tratti nuoto e poi
mi fermo a galleggiare per riprendere fiato. Al panico si
sostituiscono stanchezza e frustrazione. Presto la disperazione.
Lacrime salate scendono sulla mia faccia salata e le gambe cominciano
a dolermi.
Penso
d’essere perduta e quasi mi viene voglia di lasciarmi andare, così
che il mio destino si prenda cura di me. Non ho più paura. Il vuoto
si è impadronito del mio cervello annullandolo. Dove sono? Perché
io? Aiuto. E finalmente lontana un’imbarcazione. Urlo e l’acqua
del mare mi entra in bocca. Urlo più forte e non mi spiego come io
sia riuscita ad emettere un suono così potente. Qualcuno laggiù mi
vede e mi raggiunge. Mi tirano a bordo e dal sollievo mi addormento
(o svengo?).
Quando
mi sveglio attorno a me un gruppo di persone mi guarda e sorride. Il
letto su cui sono distesa non è il mio, ma non ha molta importanza
perché mi accorgo di non riuscire a muovermi. Sono come paralizzata.
Sta per riassalirmi il panico ma mi accorgo che è solo
un’impressione. Muovo le gambe, poi le braccia e sorrido come
un’idiota. Sono felice perché sono viva, mi muovo e sto bene.
All’improvviso vedo qualcosa che mi sembra di riconoscere.
Fissandolo ho reminiscenze di pensieri lontani.
E’
proprio bello quel pellicciotto. E’ bello perché è sintetico e
quel colore postatomico si intona perfettamente agli occhi della
donna che lo indossa.
Ho dovuto pensare a Blade Runner, sarà il pellicciotto...
RispondiElimina... ho visto cose che voi umani non potete neanche immaginare.
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