martedì 9 ottobre 2012

Sempre e solo precariato

Vorrei cominciare con "Goooood morning America" ma qui non siamo in America e questo non è un film.

Supponiamo per un solo istante che al termine "flessibilità" si possa dare un'accezione positiva. Supponiamo un mondo in cui "flessibilità" significa che se perdi un lavoro perché non c'è più richiesta di un prodotto/servizio trovi, in un tempo ragionevole, un nuovo impiego, mettendo a disposizione quello che sai e imparando quello che è necessario. Supponiamo che tutti contributi versati vadano in un sol cumulo al di là del mestiere che hai fatto e che si possa sempre accedere, al di là di tutto, a quella miseria del sussidio di disoccupazione che lo Stato mette a disposizione.

Invece, "flessibilità" oggi, per lo meno qui e per specifiche categorie di lavoratori, significa solo che fanno meno fatica a piegarti e a darti una bella pedata sul sedere. Il precario dell'editoria, poi, rappresenta l'ultimo anello della catena alimentare, è sub-umano, posizionato tra la tenia e l'essere monocellulare. Persino il lavoro nero sembra preferibile agli occhi del precario dell'editoria poiché permette, per lo meno, di risultare nullatenente (cosa che praticamente è in ogni caso).

Il precario dell'editoria ha una sola vocazione: lavorare tanto per guadagnare quasi nulla e, alla fine, avere la certezza che tra le mani non gli resti nulla per il futuro. In un posto qualsiasi, con un contratto qualsiasi (persino lo stesso Cocopro che in questo caso non vale nulla), se dopo oltre 10 anni di lavoro presso la medesima azienda ricevi il benservito, per ragioni che non dipendono dalla tua volontà, hai diritto a qualche riconoscimento.

Mi ricordo una bella puntata di Report dedicata al precariato. Fu l'unica trasmissione ad avere il coraggio di denunciare anche la drammatica situazione dei precari dell'editoria, una selva di contratti atipici e partite Iva che ha doveri importanti - giustamente - e praticamente nessun diritto.


Precariato by Vauro
Buongiorno Italia

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