domenica 19 gennaio 2014

Da grande farò l'autoporto

San Didero, un grande triangolo di terra compreso tra l'autostrada, l'Eslo Silos, il canale scolmatore e la statale 25. Doveva ospitare l'autoporto della valle di Susa. Poi, a metà degli anni '80, la politica decise che costruirlo a San Giuliano di Susa era meglio, era più funzionale. Naturalmente non prima di aver speso fior di quattrini per costruire gran parte della struttura che avrebbe ospitato uffici e parcheggi. Struttura che è ora uno scheletro di archeologia urbana in cui writer e skater hanno trovato l'El Dorado. 

Oggi, Ltf e Sitaf vogliono riportare l'autoporto a San Didero. Il Tav spinge, ha bisogno di spazi (verdi o meno, poco importa alle colate d'asfalto). Dove ora ci sono autoporto e struttura di guida sicura nascerebbe parte del cantiere per lo scavo del tunnel di base e poi la grande stazione internazionale. Inutile dire che la scelta di spostare l'autoporto a San Giuliano si è dimostrata poco lungimirante, oltre che dispendioso per le casse pubbliche, ma in Italia funziona così. L'avidità del presente ha sempre il sopravvento su qualsivoglia programmazione a lungo termine.

Due settimane fa sono andata a vedere cos'è l'autoporto abbandonato che ambisce a diventare finalmente autoporto, naturalmente non prima di esser smantellato e ricostruito interamente. Un progetto da 86 milioni di euro, collegato a un'opera, il Tav, che (ormai è più che palese) non ha alcuna utilità in ambito trasportistico poiché merci da spostare non ce ne sono più e quelle che ci sono possono essere tranquillamente trasportate sulla Torino-Lione a velocità normale che già c'è. Se poi vogliamo puntualizzare, l'alta velocità nel tunnel e in valle (tra le case) ad alta velocità non ci potrebbe neppure andare. Insomma, per il momento non siamo completamente scollegati dall'Europa e se i valsusini o i torinesi vogliono andare a Lione o a Parigi possono già farlo. Anche sul TGV.

Ma torniamo all'autoporto. Lo scheletro della struttura aveva infissi e quant'altro che, altro miracolo tutto italiano, sono stati staccati e rubati nel corso del tempo. I prati adiacenti e i sotterranei sono discariche a cielo aperto di qualsiasi tipo di rifiuto. Gli skater nell'androne principale si sono portati sacchi di cemento e boccioni d'acqua e si sono costruiti gli ostacoli necessari per poter fare le evoluzioni. I writer hanno reso colorato un posto grigio e abbandonato con volti e scritte e disegni, alcuni dei quali decisamente belli. Sono gli unici segni di arte e civiltà. Bisogna fare attenzione però quando si cammina perché è pieno di buchi; i tombini sono scoperti e dal soffitto scendono stalattiti tutt'altro che rassicuranti.

In anni più recenti, i primi anni 2000, quella zona era stata scelta da una ganga di delinquenti per seppellire fusti inquinanti che altrimenti sarebbe stato troppo costoso smaltire. Tutti assolti nel 2009 per prescrizione dei termini. L'inquinamento non si può prescrivere, però, quindi è partita la bonifica.

Ieri sera (sabato 18 gennaio), in un'assemblea partecipata a San Didero, i tecnici hanno spiegato le tante ragioni tecniche per le quali le amministrazioni si stanno opponendo a questo "trasloco". Ma, alla base, c'è sempre il macigno dell'enorme sperpero di denaro pubblico. Cosa si potrebbero fare con 86 milioni di euro? Quante scuole si potrebbero sistemare? Quanti territori mettere in sicurezza? Quanti edili, geologi, ingegneri, operai lavorerebbero a portare avanti questa miriade di "piccole" opere? Ieri sera, durante l'assemblea, tra le molte motivazioni tecniche si è sottolineato come quell'area sia un indispensabile corridoio ecologico per alcune specie animali. Ho sorriso, lo ammetto. Mi sono chiesta quale progettista sia disposto a passare sulla salute degli esseri umani e sulla vivibilità di un territorio per poi intenerirsi di fronte a un pipistrello.

86 milioni di euro. Altri 18 milioni di euro per spostare la struttura di guida sicura ad Avigliana. Sono tanti, tanti soldi e non sarebbe male che una volta si provasse a guardare un po' più in là del proprio naso e si provasse a fare un po' di programmazione per il futuro. Perché quello scheletro abbandonato dagli anni '80 lancia un monito: non abbiamo bisogno di nuove costose cattedrali nel deserto








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