mercoledì 22 gennaio 2014

L'ultima speranza dell'acciaio made in valle Susa

L'acciaieria Beltrame dall'alto
Restano 75 giorni e poi si chiuderanno le speranze dei 310 lavoratori (tanti ne restano dopo che 40 si sono avviati alla mobilità volontaria) delle acciaierie Beltrame. Oggi è stata avviata la richiesta di mobilità per tutti, che potrà essere fermata al massimo entro il 4 aprile. Dal giorno dopo, tutti i dipendenti potrebbero avere in mano le lettere di licenziamento.

Della Beltrame scrissi il 3 marzo scorso (L'agonia della Beltrame). Allora si temeva un ridimensionamento del personale. Adesso quella prospettiva sembra persino rosea. I lavoratori hanno lottato, supportati dai sindacati, per ottenere ancora una speranza. hanno lottato e mantenuto il blocco-presidio per più di un mese. Dieci mesi di cassa integrazione straordinaria li ottennero. Quei dieci mesi scadranno il prossimo 4 aprile e le nuvole nere che si addensano sul futuro degli operai e degli impiegati sembrano chiudere ogni sprazzo di sereno.

Settantacinque giorni. Ancora una volta i sindacati cercano una prospettiva ma non sono mancate le critiche, da parte dei lavoratori, anche verso di loro. Troppo silenzio in questi mesi. Troppo silenzio per chi vive di speranze e di notizie.

Le acciaierie Beltrame si sono insediate sul confine tra Bruzolo e San Didero nel 1960. Si chiamavano acciaierie Ferrero e ancora adesso chi vive qui da sempre si riferisce allo stabilimento come alla Ferrero. Han cambiato nome e proprietà ma han sempre lavorato. Poi la grande crisi, dal 2009 in poi. Quasi tre anni fa gli altiforni (contro i quali tante battaglie - anche legali - si erano compiute per fare in modo che non emettessero più diossine e Pcb) si sono spenti. Prima hanno cominciato a lavorare solo più nei fine settimana finché una volta spenti non si sono più riaccesi. I due laminatoi hanno proseguito con la produzione ma sempre meno e ad alternanza. I lavoratori parlano di circa un mese di produzione l'anno. E il resto? Cassa integrazione.

Realisticamente, dicono i sindacalisti, è difficile immaginare che l'altoforno riprenda a lavorare anche in futuro. Quella parte è già morta, in sostanza. Ramo secco da potare. I laminatoi, invece. potrebbero continuare a lavorare, specializzarsi, conquistarsi una fetta di mercato. Così dicono i sindacalisti. Per questo provano a lottare con i lavoratori. Per ottenere altre 12 mesi di cassa integrazione straordinaria che diano un po' di respiro, che permettano di studiare un piano industriale, una prospettiva economica in grado di mantenere il lavoro in valle di Susa (ma anche lo stabilimento Beltrame di San Giovanni val d'Arno è nella stessa situazione).

La grande fabbrica, per tanti. Il mostro, per alcuni. Il pane da mettere in tavola per almeno 310 persone, escluso l'indotto, seppur oggi limitato, prodotto dallo stabilimento. Sarebbe stato un sogno vedere una fabbrica che lavora in sintonia con l'ambiente circostante, che non ottiene bandiere nere di Legambiente, che respira con il territorio in cui è situata. Ma tutto si trasforma e la crisi e altri fattori economici hanno cambiato lo scenario. E tra 75 giorni, il ramo secco da potare potrebbe essere l'intera azienda.

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