(ovvero la prima favola della narratrice malfidente)
Così per Quandoserve passavano gli
anni e i decenni. Per non dire che s'era dimenticato il santo, tanto
più che la lebbra era stata sconfitta definitivamente da tempo, si
celebravano una o due messe l'anno. Ma con il calo di vocazioni,
frequentare anche le piccole cappelle lacere cominciava a diventare
difficile.
Un giorno, così, il principe
Bellachioma, dopo una festa ricca e fruttuosa dedicata al santo -
organizzata per profonda devozione e non certo per cercar introiti
che a un principe non s'addicono - decise di intervenire per arginare
il decadimento della cappella e s'impose di riuscirci prima della
festa dell'anno successivo che sperava ancor più fastosa e
fruttuosa.
Il principe Bellachioma aveva ricordi
antichi di un regno dove un principe fa un po' come gli pare e non
deve sottostare a rigidi regolamenti o chiedere "Per piacere
Signor EntePerIlControlloDelleOpereDarte lo farebbe un giretto qui
per vedere se c'è qualcosa che vale la pena di trattare con cura prima di
gettare uno strato di cemento in ogni dove?".
Il principe era potente ma
a governare sull'ameno paesello, per sua sfortuna, c'era una radicata
oligarchia scelta dai cittadini attraverso pubbliche votazioni. Il
nobile uomo, però, sapeva fare i suoi conti potendo anche contare su
un concreto numero di vassalli e valvassori fedeli e riconoscenti.
Si narra che il principe fece un patto
segreto con gli oligarchi, che la storia non può narrare perché
altrimenti che patto segreto sarebbe. Il patto avrebbe dato lustro al
principe, rendendolo agli occhi della sua corte ancor più potente e
rendendo la sua corte ancor più devota. E si sa, la devozione rende
tutti più disponibili ad elargire bene e beni. Ma il patto garantiva
lustro anche agli oligarchi che potevano esibire ai propri villici la cappella in parte
rigenerata, casualmente proprio prima che si rinnovasse quel rito - a
dirla tutta un po' desueto - della votazione pubblica.
L'arcigno
EntePerIlControlloDelleOpereDarte non era stato neppure interpellato
- d'altra parte aveva certo edifici più belli di cui occuparsi - e nemmeno un
cartello piccino aveva dovuto affiggere il nobile Bellachioma per
procedere nella sua opera di devozione. Ai villici votanti era
riservato altro trattamento e neanche una parete di cartongesso di
una stanza (per dare un po' di privacy al figlio cresciutello)
potevano erigere senza chiedere permessi e stilare documenti e
affiggere cartelli e pagare professionisti e seguire procedure e
pagare tasse per raddoppio di vani.
I vassalli di Bellachioma lasciavano
cumuli di materiale, automezzi, attrezzature là dove era più comodo
loro e ai villici che si lagnavano di essere stati murati vivi dentro
i propri cortili o a coloro che ardivano chiedere motivo di tale iter
sbrigativo arrivavano sonore pernacchie.
Così andava avanti serena la vita
nell'ameno paesello. Voi chiederete: e il drago? Pazientate
miscredenti! Dovete aspettare che Bellachioma e gli oligarchi leggano la favola.
PS: Ogni riferimento a fatti e persone reali è, naturalmente, puramente casuale.
PPS: Dedico questa mia fiaba a Peppino Impastato e a Stefano Benni, due delle mie grandi muse ispiratrici.
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