giovedì 19 dicembre 2013

San Quandoserve e il drago

(ovvero la prima favola della narratrice malfidente)

C'era una volta, in un ameno paesino di una lontana valle olimpica, una cappella intitolata a San Quandoserve, protettore di tutti i lebbrosi e gli sfigati. Era una cappella un po' diroccata poiché nessuno se ne occupava, se non tre o quattro devote paesane che, qualche volta l'anno, andavano a pulirla per non lasciarla sovrastare dalla polvere e dalle ragnatele. Era un tempo in cui si stringeva la cinghia e i soldi per rimettere a posto l'edificio di culto non c'erano, perché su una cappella che racconta una storia, se pur povera, dimenticata e lacera, non si poteva intervenire come se si trattasse di rifare una mulattiera. C'era una volta, infatti, un'istituzione severa e arcigna chiamata EntePerIlControlloDelleOpereDarte che, talvolta, cercava di tutelare persino piloni votivi dall'asfaltatura umana; figuriamoci cappelle affrescate complete di arredi e di paramenti.

Così per Quandoserve passavano gli anni e i decenni. Per non dire che s'era dimenticato il santo, tanto più che la lebbra era stata sconfitta definitivamente da tempo, si celebravano una o due messe l'anno. Ma con il calo di vocazioni, frequentare anche le piccole cappelle lacere cominciava a diventare difficile.

Un giorno, così, il principe Bellachioma, dopo una festa ricca e fruttuosa dedicata al santo - organizzata per profonda devozione e non certo per cercar introiti che a un principe non s'addicono - decise di intervenire per arginare il decadimento della cappella e s'impose di riuscirci prima della festa dell'anno successivo che sperava ancor più fastosa e fruttuosa.

Il principe Bellachioma aveva ricordi antichi di un regno dove un principe fa un po' come gli pare e non deve sottostare a rigidi regolamenti o chiedere "Per piacere Signor EntePerIlControlloDelleOpereDarte lo farebbe un giretto qui per vedere se c'è qualcosa che vale la pena di trattare con cura prima di gettare uno strato di cemento in ogni dove?".

Il principe era potente ma a governare sull'ameno paesello, per sua sfortuna, c'era una radicata oligarchia scelta dai cittadini attraverso pubbliche votazioni. Il nobile uomo, però, sapeva fare i suoi conti potendo anche contare su un concreto numero di vassalli e valvassori fedeli e riconoscenti.
Si narra che il principe fece un patto segreto con gli oligarchi, che la storia non può narrare perché altrimenti che patto segreto sarebbe. Il patto avrebbe dato lustro al principe, rendendolo agli occhi della sua corte ancor più potente e rendendo la sua corte ancor più devota. E si sa, la devozione rende tutti più disponibili ad elargire bene e beni. Ma il patto garantiva lustro anche agli oligarchi che potevano esibire ai propri villici la cappella in parte rigenerata, casualmente proprio prima che si rinnovasse quel rito - a dirla tutta un po' desueto - della votazione pubblica.

L'arcigno EntePerIlControlloDelleOpereDarte non era stato neppure interpellato - d'altra parte aveva certo edifici più belli di cui occuparsi - e nemmeno un cartello piccino aveva dovuto affiggere il nobile Bellachioma per procedere nella sua opera di devozione. Ai villici votanti era riservato altro trattamento e neanche una parete di cartongesso di una stanza (per dare un po' di privacy al figlio cresciutello) potevano erigere senza chiedere permessi e stilare documenti e affiggere cartelli e pagare professionisti e seguire procedure e pagare tasse per raddoppio di vani.

I vassalli di Bellachioma lasciavano cumuli di materiale, automezzi, attrezzature là dove era più comodo loro e ai villici che si lagnavano di essere stati murati vivi dentro i propri cortili o a coloro che ardivano chiedere motivo di tale iter sbrigativo arrivavano sonore pernacchie.

Così andava avanti serena la vita nell'ameno paesello. Voi chiederete: e il drago? Pazientate miscredenti! Dovete aspettare che Bellachioma e gli oligarchi leggano la favola.


PS: Ogni riferimento a fatti e persone reali è, naturalmente, puramente casuale.

PPS: Dedico questa mia fiaba a Peppino Impastato e a Stefano Benni, due delle mie grandi muse ispiratrici.

Nessun commento:

Posta un commento