Perché, fondamentalmente, arriva il momento in cui si può mettere un punto.
E ricominciare, andando a capo.
O addirittura cambiando foglio.
Archiviare quello che è stato scritto e metterlo via, nella scatola, assieme a tutto ciò che avevamo già scritto in passato.
E quando si può mettere quel punto, dopo che tanto abbiamo speso tra risate e lacrime e sudore per scrivere quella storia, ci sentiamo smarriti e sollevati insieme. E' necessario abbandonare il pensiero di dover per forza trovare una conclusione ad effetto o di trarre una morale. Perché spesso non ci sono. Né una conclusione ad effetto, tanto meno una morale. E non esiste neanche la parola "fine", perché quella, alle storie che scriviamo, non la mettiamo mai. Può capitare che un giorno ci tocca di ritirare fuori un foglio e aggiungere qualche riga, fare qualche correzione.
Un foglio vuoto.
Regole diverse, tempi diversi, nuova terminologia, nuova trama.
Nuovi personaggi anche. Sebbene, di quelli passati, qualcosa resterà. Alcuni rivivranno nelle nuove avventure, forse uguali a loro stessi o forse trasformati, come eroi, antieroi o semplici comparse. Ne si esagererà i tratti, che serviranno a dare alla nuova storia una luce più viva.
Le pagine che scriviamo non sono che la proiezione della nostra crescita personale; una fotografia di quello che ci è piaciuto e vorremmo replicare o degli sbagli commessi, che cercheremo di evitare di ripetere.
Mettere un punto significa fermarsi, guardare il foglio vuoto e l'inchiostro rimasto nella stilografica, riflettere e fare un viaggio dentro noi stessi alla ricerca di cosa vorremmo davvero scrivere in futuro.
Perché non potremo mai fare a meno di ricominciare a scrivere fin quando potremo tenere la penna in mano. E' questa, in fondo, è la cosa davvero meravigliosa dell'esistenza.
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