Oggi è la giornata internazionale contro la violenza sulle donne.
Siamo così lontani dall'eliminare la violenza dalle nostre esistenze - io stessa lo sono e la cosa mi spaventa - che non vedo alcun presupposto perché la violenza di genere sia presto un ricordo. Cosa si dovrebbe dire in un giorno come questo? Che mettere le mani addosso a una donna è vigliacco, meschino, bastardo? Certamente lo è e su questo non si discute. Chi direbbe il contrario? Eppure, il peggior nemico di una donna, troppo spesso, è chi divide con lei le lenzuola.
Cosa si dovrebbe dire? Donna fuggi, ribellati, ricostruisciti una vita? Certamente è la cosa giusta ma poi, quella donna, chi l'aiuta nei fatti? Chi l'accoglie? Non certo uno Stato che taglia fondi su capitoli come scuola, sanità e servizi. Non certo una comunità che, in molti casi, quella violenza la giustifica persino, imputando alla donna colpe che non ha.
Violenza.
La violenza è picchiare, torturare, uccidere, umiliare. Su questo siamo tutti d'accordo?
Ma la violenza non è solo quello.
La violenza sono le mille piccole violenze quotidiane.
La violenza è pensare o far credere che tutto quello che la donna fa sia sbagliato, figlio di non si sa quale impulso decontestualizzato, di ignoranza, di incapacità, di inadeguatezza.
La violenza è lasciare alla donna tutto il carico pratico ed emotivo della quotidianità, della gestione della casa, della famiglia, dei figli (salvo poi criticare più o meno pesantemente quella stessa gestione).
La violenza è il silenzio, la non condivisione, il non essere supporto, l'egoismo, il menefreghismo.
La violenza è negare la libertà individuale o farla apparire una concessione.
La violenza non comincia quasi mai con la violenza fisica e, a volte, per fortuna, non ci arriva. Comincia con la sterile gelosia, con l'affetto negato, con le piccole umiliazioni ("non sei capace a far nulla", "sei fuori dalla realtà", "non capisci un cazzo") private o pubbliche.
La violenza è volere una donna trasparente. Violenza è ferire quando quella donna diventa opaca, quando non "sta al suo posto" facendo la brava mamma, la brava casalinga e aprendo le gambe a tempo debito. Possibilmente in silenzio, "che tutte queste chiacchiere sono anche fastidiose a lungo andare".
Prima che un uomo alzi le mani su una donna può averle usato violenza mille volte.
E la donna, troppo spesso, sopporta. Per amore, per paura dell'abbandono, per amore dei figli, perché dipende economicamente dall'uomo o per mille ragioni. A volte non se ne rende nemmeno conto. A volte, quella realtà le sembra l'unica possibile.
Chi l'aiuta questa donna? La società tutta quale riferimento sano le prospetta?
I tagli del welfare dicono questo:
"Non lavorare, non essere indipendente. Occupati tu del marito, dei figli che vanno a scuola o che ancora non ci vanno, del nonno che non è autosufficiente, della mamma malata. A me, Stato, costa meno - che gli evasori non pagano le tasse e non ho soldi - e tu sei portata. Ci sei nata per la cura. Ce l'hai nel Dna. Mica vorrai fare quello che ti piace? Studiare o fare quello per cui hai studiato? Ti mantiene l'uomo. Se ce l'hai. Altrimenti sei una sfigata. Sei racchia? Frigida? O magari te lo sei fatto rubare? Hai messo la minigonna per uscire per strada e poi ti lamenti che il marito è geloso. Se non hai il marito ti lamenti che ti prendano per una puttana. Non sei capace a far altro che lamentarti. Se tu stessi a casa, in silenzio, tutto questo non succederebbe".
Ma a noi va bene così? Ci va bene che a fare le spese della violenza dello Stato, prima, e dell'uomo, poi, siamo sempre le donne? No che non ci va bene. Ma far da sole, spesso, non si può o non si riesce. Chi le aiuta queste donne?
Per la giornata internazionale contro la violenza sulle donne vorrei questo: risposte. Risposte concrete.
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